17 luglio 2008

7000 metri con la morte nel cuore

La montagna è un paradiso incontaminato dove l'uomo accede solo col permesso degli dei. Ricordatevelo questo. Anche io, nel mio piccolo, ho provato cosa vuol dire prendere sotto gamba un cambio di percorso o ritardare perchè attratti da qualcosa, o distrarsi non vedendo una indicazione. Si inizia a tremare inconsciamente, poi ti agiti e perdi la cognizione del tempo, non vedi l'ora di trovarti di nuovo in un sentiero conosciuto e posare i piedi in un praticello sicuro. Ma nel frattempo sei lì, vicino ad un dirupo con il temporale che sta arrivando e il tuo stomaco che ti fa sapere di aver paura anche lui. Le mani ti tremano e non riesci più a vedere nessuno degli aspetti positivi della montagna... Scrivo ciò perchè in questo momento due alpinisti che abitano molto molto vicino alle zone da cui vi scrivo, stanno lottando contro la paura, l'angoscia e il terrore. Sono su una delle montagne più terribili che ci siano sulla faccia della terra attorno ai 6800 metri di quota e stanno cercando di salire alla cima per poi tornare a casa. Ma la loro guida giace ormai metri e metri sotto di loro, dentro un crepaccio coperta di neve.
Nanga Parbat, questo è il nome della montagna (la vedete nelle foto del post), la nona al mondo in ordine di altezza e una delle più mortali; su circa duecento persone che l'hanno scalata, sono più di sessanta quelli che non sono tornati indietro. Nel giugno 1970 Reinhold Messner e suo fratello Günther furono i primi a conquistare la vetta arrampicandosi dalla parete meridionale, tra le più difficili, e per di più in stile alpino, cioè senza ossigeno e senza portatori. Ma proprio qui, il 29 giugno dello stesso anno, trovò la morte Günther Messner. Dopo aver conquistato la vetta, i fratelli Messner decisero di scendere dalla parete ovest, considerata più agevole. Una volta arrivati alle pendici della montagna, il ventitreenne Günther fu travolto da una valanga e morì. Nell' agosto 2005 fu ritrovata la sua salma. E ora Walter Nones e Simon Kehrer sono sopra di lei, stanno cercando di domarla sapendo già di aver perso la loro guida, Karl Unterkirchen 38 anni, con moglie e figli piccoli a casa che muoiono già di dolore sapendo che neppure il corpo del loro caro ritornerà mai a casa. I soccorsi in quella quota sono impossibili. A causa dell'aria rarefatta gli elicotteri non possono volare a quella altezza. Inoltre la parete è troppo esposta per consentire l'avvicinamento del mezzo. Il gardenese di 38 anni è caduto in un crepaccio. Si tratta di un incidente relativamente frequente sui ghiacciai. Il recupero è particolarmente difficile. Spesso l'alpinista muore già nella caduta nel crepaccio che può essere profondo anche dieci, venti metri oppure viene sepolto dalla neve che lo segue. Sulle Alpi i soccorritori utilizzano in genere un treppiede con verricello. Un soccorritore si fa calare, presta i primi aiuti, mette l'imbragatura al ferito per poi farlo recuperare lentamente agli altri uomini. Un intervento del genere è però impensabile a quota 7 mila.
Dal sito di Karl:
Da una prima ricostruzione pare che l'incidente sia accaduto ieri. La costola di neve dove Unterkircher stava battendo traccia sarebbe improvvisamente crollata sotto i suoi piedi, facendolo precipitare in un crepaccio poco sopra i seimila metri.

A raccontarlo sono stati, questa mattina, i suoi compagni di cordata Walter Nones e Simon Kehrer, dopo una terribile notte passata all'addiaccio nel disperato tentativo di salvare il loro amico e capospedizione. Purtroppo, non hanno potuto far nulla se non recuperare, tra mille difficoltà, il telefono satellitare che Unterkircher aveva indosso.

La telefonata a casa è stata brevissima. La batteria del telefono è agli sgoccioli. E davanti a loro, i due alpinisti, hanno ancora diverse ore, forse giorni, di scalata.

"Non possiamo tornare indietro da dove siamo saliti - ha detto questa mattina Nones alla moglie -. Sarebbe troppo pericoloso. Noi stiamo bene, ora siamo fuori dalla seraccata, a circa 6.400 metri di quota. Dobbiamo proseguire verso l'alto. Dovremo arrivare ad oltre settemila metri per poter uscire dalla parete. Poi scenderemo dalla via più sicura e più veloce".

Nient'altro. Nessun dettaglio, per ora, sul luogo in cui si trova Unterkircher nè sulla dinamica esatta dell'incidente o dei soccorsi. Tutto quanto è rimandato a quando Nones e Kehrer si saranno messi in salvo e avranno raggiunto un campo base.

Non sarà un'impresa facile. Sul morale pesa la perdita dell'amico. E le difficoltà tecniche della parete, ancora inviolata, sono altissime.Non era la prima volta che Nones e Kehrer accompagnavano Unterkircher. Nel 2006, avevano partecipato con lui alla scalata dell'inviolata parete Nord del Genyen, una montagna cinese di oltre seimila metri. Walter Nones, 36 anni, di Cavalese è un appuntato dei carabinieri mentre Simon Kehrer, 29 anni, è di San Vigilio in Marebbe, un piccolo centro in val Badia dove lavora come guida alpina.
In questo video lo vediamo ridere e scherzare con i due compagni di avventura durante la spedizione dove poi ha trovato la morte:
E questo è l'ultimo video che lui stesso ha pubblicato su YouTube non meno di 10 giorni fa e che ormai nei commenti è diventato un percorso-processione.Leggete quello che scriveva Karl nel suo diario prima di affrontare il mostro di ghiaccio:

18 giugno. Da qualche giorno ormai siamo al campo base che si trova fra due lingue glaciali a circa 4000 metri. Un campo base semplice da raggiungere. L'abbiamo raggiunto dopo 2 giornate di viaggio. Il primo giorno su un fuoristrada molto esposto e pericoloso, raggiungendo così Jail.
28 giugno. Riesco subito ad addormentarmi e a sognare... dopo un po' mi sveglio, sento che il vento si alza e fissando la mia lampada frontale torno alla realtà! Siamo qui per una "missione"... quella parete... quel seracco a metà parete... non mi esce dalla testa. Ci vorranno sicuramente 10-12 ore per salire il seracco, mi chiedo se saranno ore inutili, ore che ci impediranno la salita? Cerco di riaddormentarmi, ma la mia mente è confusa da tante domande. La probabilità che il seracco piombi giù in quelle ore, è minima. Di certo non è una roulette russa. Però, mai dire mai! Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c'è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio, e se ci chiama... dobbiamo andare. Sono cosciente che l'opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: "Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?". Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!
13 luglio. Sono sdraiato nella mia tenda e provo a continuare a leggere. Ma non riesco a concentrarmi, la mia mente è fissata su quella parete. La parete Rakhiot, su quel stramaledetto seracco in mezzo alla parete. In quella fascia di ghiaccio, che ci ostruisce la via di salita. Un mese fa quando arrivammo al campo base, questa parete mi fece paura. Le foto invece, danno l'impressione che faccia parte del mondo delle fiabe. La parete vista da "Fairy Meadows" si erge con tutta la sua maestosità per 3 chilometri verso il cielo. Ben 9 chilometri di placconata separano la vetta del Ganalo Peak ad ovest dalla vetta di Rakhiot ad est. Però sono le scariche di ghiaccio che mi procurano paura. (...) E' una missione pericolosa! Probabilmente affronteremo la montagna come degli assaltatori di prima fila in guerra. Ma invece delle armi avremmo le piccozze e i ramponi. (...) Nonostante l'evidente pericolo anche Walter e Simon sono motivati e convinti di salire. Nella mia mente però, il fattore della responsabilità, mi procura ansia, pensando frequentemente a casa, ai miei cari. La cosa migliore onde evitare veramente sgradevoli imprevisti, sarebbe rinunciare al progetto. (...) Inshallah!! (Come Dio vorrà ).

Ciao Karl, ora siediti e riposa. E' tutto finito.
Pin It

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Anch'io ho paragonato (benchè sia ridicolo, lo sappiamo) quella tua stessa sensazione di smarrimento provata in montagna allo stato d'animo dei due uomini lassù nel nulla.
Avevo perso un sentiero, ero sotto la pioggia e la grandine con i fulmini che cadevano a poche centinaia di metri di distanza. Una apocalisse per come la ricordo di ormai quasi 10 anni fa. E tremavo e camminavo come un imbecille. Di fretta, di corsa, come se gli spazi aperti (e meravigliosi) stessero pian piano facendosi asfissianti, claustrofobici e io ci dovessi saltar fuori. E poi un rifugio fu la "salvezza", mi son cambiato dalla testa ai piedi fradicio com'ero e finita la pioggia son ritornato per altre vie, vergognandomi della paura come un ladro.

Però a 7000 metri non ci son rifugi o calore o accoglienza. E il freddo che batte fuori e dentro arrivando a congelare persino i pensieri ti tira la giacca e il morale sotto i piedi. Ma è anche vero che ci sono grandi uomini che hanno una, due, tre marce in più. Per cui con la mente o, per chi crede, con le preghiere siamo là con i due alpinisti. Che altro poter fare da qui?

thecatisonthetable ha detto...

Leggere quello che ha scritto negli ultimi giorni è veramente da pelle d'oca.

Quando si parla di "sensazioni"...

Anonimo ha detto...

Sul blog, qui: http://www.karlunterkircher.com/it/expeditionen_nanga_parbat.htm
parla di una caduta accidentale, dopo aver preso contro ad un vaso di fiori fuori da un bar, che gli ha riportato una dolorosa botta al ginocchio che però non si è rivelata nulla di serio.
Parla di destino e di "segni" come gli mancasse tanto così per capire e fare marcia indietro. Incredibile ma tristemente vero.

Irene ha detto...

Come voi, anche io ho paragonato la sensazione dell'abbraccio sinistro di un arco di montagne percorso dalla parte errata per colpa di una disattenzione a quello che devono aver provato loro. Terribile. E ridicolo allo stesso tempo. Mi ero smarrita n una giornata di brutto tempo, le nuvole in cielo, cariche di pioggia, minacciose e la mia asma che si faceva sentire mentre tentavo di ritrovare la strada con il panico che esplodeva in cuore. Ricordo anche un pianto liberatorio quando ritrovai il sentiero, mentre già cominciava a piovere, 4 ore dopo essermi persa. Dopotutto ho solo vent'anni e nonostante ci sia nata e mio padre sia alpinista, la mia esperienza in fatto di montagna è minima.

Non voglio pensare a quello ch'è passato nel cuore di Karl in quegli ultimi momenti. Preferisco credere che ora lui sia sereno nel magico silenzio che solo le alte cime sanno dare, stretto nella roccia che tanto ha amato. Penso che ora lui abbia finalmente trovato le risposte che cercava. Addirittura invidio la sua profonda passione che lo ha portato fin lì. Solo pochi sanno sfuggire alla mediocrità per inseguire i propri sogni.

Un abbraccio alla famiglia.

Irene
www.neneluthien.spaces.live.com

Momo ha detto...

Ragazzi, grazie per i vostri interventi, veramente tutti belli e toccanti. Grazie specialmente a Nene e benvenuta.
Momo

thecatisonthetable ha detto...

"Solo pochi sanno sfuggire alla mediocrità per inseguire i propri sogni."...

Com'è vero...

Irene ha detto...

Sono le persone come Karl che ti danno la forza di credere che SI PUO' e SI DEVE inseguire un sogno, una passione, mentre tutti intorno a te sorridono con accondiscendente paternalismo e ti dicono che sono solo utopie dei vent'anni.

Moky in AZ ha detto...

Ovviamente, qui non se ne e' parlato... tutti troppo presi a pensare ai gemelli d'oro oppure a piangere per il costo della benzina... se esiste una consolazione (e io sono sempre pronta a cercarla) e' che Karl e' morto facendo quello che sicuramente amava tantissimo.

Posta un commento

Se stai per lasciare un commento, ti ringrazio fin d'ora. Io mi nutro di commenti! Risponderò appena il tempo me lo permette. Grazie!