Sono le 4,30 di mattina. Squilla il telefono. Mi sveglio di soprassalto e corro giù per le scale di marmo a piedi nudi. In casa sono solo con mio fratello di 18 anni che sta uscendo dal sonno anche lui, svegliato dai trilli del telefono. Rispondo. E' mia zia, la sorella di mio papà. Piange e mi dice che il papà sta molto male, di correre subito in ospedale. Metto giù, mio fratello mi guarda e capisce tutto. Ci vestiamo. Esco fuori nella nebbia di novembre e accendo la panda bianca che parte subito. Durante il tragitto la mia mente corre più veloce della panda. So già quello che mi aspetta. Io lo so già. Arriviamo in ospedale. Saliamo le scale con le facce più sperdute che due fratelli possano avere. Imbocchiamo il corridoio e mia zia è lì ad aspettarci. Il viso rigato dalle lacrime. Mia madre non c'è. La porta della stanza è socchiusa. Esce un'infermiera. Entro. Mio padre è immobile con gli occhi chiusi, il tubo in bocca fermato dal cerotto. Mi avvicino e i singhiozzi nella gola iniziano ad avere il sopravvento. Chiamo: "Papà" ma so già che non mi risponderà nessuno. Gli prendo la sua grande mano. E' fredda. Sto così per un'eternità e tutto inizia a scorrere. Fiumi di immagini e di cose fatte insieme. Avevo 16 anni quando mio padre è morto. Un virus del sangue se l'è portato via. Ho nella testa alcune immagini che penso non se ne andranno mai più. Alcune le ho vissute di persona, altre le ho costruite con l'immaginazione: Mio padre che cerca di mettersi il grembiule bianco da lavoro ma non riesce ad infilare la manica col braccio. Ci prova un sacco e si nasconde per non farsi vedere dai colleghi.
Mio padre che scende le scale di casa. Le stesse scale di marmo che ho fatto io a piedi nudi quella mattina di novembre. Ha un sorriso innaturale in volto e non può più stare in piedi da solo.
Io e mio fratello abbracciati e stretti contro un angolo di una stanza dell'obitorio. Piangiamo entrambi come mai più ci è successo. Dietro di noi. Nostro padre in una bara.
Immagini scolpite nella carne che ogni volta mi fanno pensare a tutto il tempo che potevo passare con mio padre e che non ho vissuto. 24 anni e poco più.
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6 commenti:
La perdita di un genitore e' come una ferita che si rimargina ma che fa sempre male a guardarla, a pensarci, a toccarla...il rapporto d'affetto e amore che avevi con tuo papa' non e' finito perche' se ne e' andato, ma continua nei ricordi, nelle parole scambiate con i tuoi famigliari, continua in te e un giorno se sarai cosi' fortunato, continuera' nel rapporto che instaurerai con i tuoi figli.
Cosa dire, mi dispiace tanto e ti sono vicina.
E' successo lo stesso al padre di mio marito, un virus dopo essere guarito da un linfoma.
Sò che è dura e manca molto ma la vita è piena di momenti stupendi e inaspettati che riempiono il vuoto che si sente.
Un bacione, Eli
hai parlato di un tuo intimo segreto, senza che nessuno te lo chiedesse.. per renderci partecipi.. come i veri amici.. ci sono sempre nel momento del dolore... e del piacere..
mi spiace veramente... non posso immaginare un dolore del genere.. una perdita del genere..
un abbraccio
anonima
Moky, Elisa, Anonima, grazie mille per le vostre parole. Molto apprezzate. Un abbraccio.
So cosa significa la perdita di un genitore.. è un dolore che lacera dentro.. e solo il tempo lo affievolisce.. lasciando spazio ad una struggente nostalgia..
Un abbraccio
Manu, grazie per tutti i commenti che hai lasciato sul mio blog. Specialmente per questo. Grazie mille e... ripassa a trovarmi! :-)
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