07 settembre 2010

Le inondazioni in Pakistan

Alle volte basta una semplice fotografia per farti sentire piccolo così. Questa drammatica immagine sta facendo il giro delle più autorevoli testate giornalistiche del mondo. E' stata scattata la settimana scorsa da Sajjad Mohammad che lavora per la Associated Press. La foto ritrae 4 fratelli di cui due gemelli, in un improvvisato campo di fortuna sulla strada che porta a Peshawar in Pakistan. Queste sono le conseguenze delle lunghe inondazioni che la regione ha dovuto sopportare per settimane in oltre un quinto di tutto il Pakistan. Ad un certo punto le aree sommerse erano vaste come tutta l'Inghilterra. E anche se i morti a questo immane disastro rimangono relativamente pochi (circa 2000), la devastazione che si lascia dietro questa inondazione è immane, soprattutto per un paese come il Pakistan. Si calcola che i danni ammontino a 43 miliardi di dollari, quasi un quarto dell'intero PIL del Pakistan. Sono andate perse oltre 3,6 milioni di ettari di raccolto, 1,2 milioni di capi di bestiame, 167 milioni di persone colpite, la quasi totalità della popolazione pakistana che conta 180 milioni di abitanti. Il bimbo con il biberon desolatamente vuoto si chiama Reza Khan, ha due anni e da più di un mese non beve latte. La sua famiglia è afgana, fuggita in Pakistan lontano dagli orrori della guerra , e qui, ironia della sorte, l'acqua ha spazzato via la loro casa fatta di mattoni di fango.
Ecco, io voglio credere che l'aver scattato questa foto possa servire a qualcosa, per Reza e per tutti quelli nelle sue condizioni.
Io nel mio piccolo vi linko la pagina con le info per poter aiutare la popolazione pakistana.
Vi propongo altre immagini della sciagura che sta schiacciando questo popolo.
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10 commenti:

Unknown ha detto...

Davvero straziante!!
Uffa, quando anche la natura ci si mette, questo mondo sembra essere fatto solo per le disgrazie...per di più sempre verso i più disgraziati.
Uffa!

BluOscar ha detto...

Purtroppo sono convinto che disastri come questi siano favoriti dall'azione invasiva del peggiore animale che la Terra abbia mai ospitato: l'uomo. Al ritorno dalle vacanze ho sentito su Radio Rai2 questa notizia: abbiamo già esaurito tutte le risorse che la Terra produce in un anno. Questa notizia non è stata riportata da nessun telegiornale. Sono convinto che l'inquinamento abbia e stia provocando danni indelebili al pianeta e che purtroppo, in molte occasioni, sono i piu' deboli che ne pagano le conseguenze. Ciao

Sarah Tognetti ha detto...

Cavolo sono passata di qua per fare due chiacchiere del più e del meno e ringraziarti ancora peril commento che mi hailascito nel blog e mi ritrovo con gli occhi lucidi e voglia di chiacchierare zero! Va bè sarà per la prossima volta, grazie per la segnalazione.

Sarah

Momo ha detto...

Ulisse, è vero, ma è vero anche che i popolo più antichi, tipo i romani, si siano presi le terre migliori e abbiano lasciato quelle più "pericolose e povere" alle popolazioni venute dopo.

Oscar, il nostro problema è che siamo troppi. La terra non riesce più a digerire le nostre schifezze.

Sarah, non ti preoccupare, ci saranno occasioni più liete. A presto.

S ha detto...

Queste immagini sono talmente forti che mi ispirano oltre ad un certo disagio anche molte riflessioni sulla fotografia e la comunicazione stessa.
Penso che si debba affrontare seriamente anche il problema di coinvolgere "gli altri" senza buttargli a dosso per forza tutto. Non fraintendetemi, non è una polemica, è uno spunto per capire.

Ho scritto qualcosa qui:
http://becausethelight.blogspot.com/2010/09/non-ce-ma-si-vede.html
forse può interessare ;-)
ciao.

Momo ha detto...

Sandro, oserei dire "Missione compiuta". Il fotoreportage questo deve fare: mostrarti cosa accade nei luoghi più disparati della terra. La storia dell'uomo, quella recente soprattutto è fatta anche di immagini, che potranno essere pubblicate sui libri di storia che verranno. La fotografia, lo sai meglio di me, ha un potere che le parole non potranno mai avere. La fotografia ti prende a schiaffi per la sua crudeltà e la sua "nitidezza" nel raccontare i fatti. La fotografia non ha sfumature, non ha compromessi ne veli. La fotografia è un fiume in piena di sentimenti, emozioni, colori e pensieri. Io amo la fotografia soprattutto per questo.
Solo lei è in grado di portarti lì dove avvengono le cose. Solo lei è sottolinea come neppure una ripresa video può fare, grazie alla staticità dei soggetti che non scappano mai dall'inquadratura e non spariscono dopo qualche frazione di secondo.
Si lo so, alle volte la fotografia sa essere spietata e crudele. Ma è il rovescio della medaglia di tutte le magnificenze che ogni giorno tutti i fotografi del mondo immortalano per tutti coloro che in futuro ne potranno godere.

S ha detto...

Io invece dubito che sia una missione compiuta, riflettevo proprio su questo, che appunto questo modo di fare fotografia è un contributo in più ad alimentare una generale indifferenza al dolore.
Inoltre la fotografia non è, a mio avviso una presa diretta, ma è sempre filtrata dagli occhi di chi la realizza.
Sicuramente quella foto ha "sfondato" la barriera della comunicazione, entrando di forza su tutti i giornali, ma il suo obiettivo finale, cioè quello di portare un aiuto a quella gente, è davvero centrato?
Perchè "la storia" di quelle persone non è "compiuta" dalla foto, è solo accennata e forse anche un po' forzata, come appunto ho scritto nel mio post. Questo è il motivo dell'appannamento dell'immagine, perchè non sia compiuta e già conclusa. Le vite di quelle persone continuano (si spera) oltre quella foto ;-)

Momo ha detto...

Sandro, il tuo ragionamento è chiaro e lo condivido, non credere...
Ma secondo me tu devi scindere le cose, per forza. Lascia stare la questione morale quando guardi una foto, altrimenti non ne vieni più fuori e confondi i diversi fini. Come giudichi le foto storiche che ormai ogni fotografo ha stampato nella testa? La bimba di Hiroshima, i marines che issano la bandiera a Iwo Jima, Mussolini appeso in piazza e tante altre. Sono immagini crude e alcune volte anche raccapriccianti ma fanno il loro dovere come lo fa un libro di storia. Se fossero offuscate come quella da te pubblicata, sarebbero l'equivalente di un libro con le pagine bianche. Questo è il mio parere.

S ha detto...

Si, è giusto, non voglio certo apparire radicale, ma non posso nemmeno lasciare troppo in secondo piano l'aspetto "morale", esasperando la volontà di una comunicazione che non se ne vuole occupare (e preoccupare), dell'aspetto morale.
Quelle fotografie che citi hanno fatto la storia e sono stampate nelle nostre menti, quasi una sintesi di un momento storico e di un avvenimento. Ma se nella prima metà del secolo l'immagine giornalistica era ancora una goccia in un bicchiere, adesso si parla di goccia in vasti oceani.
Il bombardamento delle immagini tragiche oggi comincia ad avere effetti ben diversi. E' un accumulo di tragedie che rischia quasi di diventare la normalità e quindi, non essendo più eccezionale, perdere potere di coinvolgimento e riflessione.
Certo non avrei offuscato quelle immagini, perché sono diventate delle icone, ma allora l'icona cosa racconta?
Perché il punto è tutto qui? Quell'immagine riesce davvero a raccontare la storia o è solo una tremenda e cruda semplificazione?
A che serve quell'icona? a ricordare mnemonicamente il capitolo del libro di storia? Dietro quelle immagini c'è moltissimo, ed è proprio su questo che io invito a porre l'attenzione. L'offuscarle è solo un modo per esaltarle! ;-)

Momo ha detto...

Sandro, l'eccesso non è mai una cosa positiva in nessun caso. E anche nella fotografia di reportage vale questo ragionamento. Credo che i fotoreporter debbano essere coscienti di ciò che fanno, e del potere che hanno tra le mani. E' loro la scelta su cosa inquadrare e immortalare e sul come divulgare le immagini. Il pericolo della mercificazione dell'immagine c'è ed è tangibile. Oggi come oggi si fotograferebbe anche la mamma in situazioni imbarazzanti pur di trarne un profitto. Sta evidentemente al mezzo finale, in questo caso una testata giornalistica, veicolare l'immagine o meno. la responsabilità quindi cade sugli organi d'informazione e sulle loro redazioni. Sta a loro scegliere se pubblicare il materiale o meno, proprio come si farebbe per un articolo o una indagine. A scombussolare un po' questo mio ragionamento arriva il web, il quale regole ne ha ben poche in questo senso. Forse il pericolo è proprio qui, tra le pagine elettroniche che corrono nel cavo.

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